Secondo The European House – Ambrosetti enormi ricadute negative per la diffusione dell’agroalimentare Made in Italy nel mondo derivano notoriamente dal fenomeno dell’Italian sounding, che indebolisce il posizionamento estero dei prodotti italiani. Il campione individuato, partendo dagli scaffali della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) internazionale con una survey a 250 retailer somministrata nel mese di marzo 2022, che raccoglie una quota di mercato media del 46% del comparto retail alimentare per ciascun Paese, permettendo quindi di ottenere elevata rappresentatività statistica delle dinamiche nei mercati in oggetto, mette in evidenza che il problema è dilagante. I dati presentati a Bormio durante la sesta edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni”, ci fanno riflettere su un punto molto importante: se i prodotti Made in Italy acquistati nel mondo fossero tutti davvero di provenienza italiana l’export agroalimentare passerebbe dagli attuali 50,1 miliardi di euro a quasi 130. Se poi si riuscissero a sostituire anche i prodotti contraffatti si supererebbero i 150 miliardi. In pratica l’export agroalimentare si potrebbe moltiplicare per tre, con vantaggi enormi per i nostri agricoltori, le industrie di trasformazione e l’economia italiana nel suo complesso.
Ma facciamo insieme una panoramica della situazione italiana interna post pandemia. Nel 2021 l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca, che l’anno precedente si erano distinti come settori meno colpiti dai lockdown, non hanno beneficiato del clima generale di ripresa che ha caratterizzato il secondo anno della pandemia di Covid-19. Nel 2022, la produzione non agricola (attività secondarie, in particolare l’agriturismo), più colpita dalla crisi sanitaria, ha segnato una consistente ripresa, ma è stata compromessa da avversità climatiche che hanno penalizzato l’annata agricola. Particolarmente colpiti i volumi di produzione delle colture, mentre un buon risultato si è registrato per il settore zootecnico. Il generale sensibile aumento dei prezzi ha sostenuto il valore della produzione ma ha comportato un peggioramento delle ragioni di scambio e ha penalizzato gli operatori del settore.
Tutto ciò viene ufficializzato nei rapporti ISTAT sugli studi effettuati nel 2022 relativamente ai dati emersi sulle “Tendenze dell’economia e della normativa dell’agricoltura italiana – anno 2021 a seguito delle conseguenze della pandemia COVID–19”. L’intera operazione è stata realizzata secondo quanto previsto dal Regolamento 2018/1091 (UE) del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 luglio 2018 sulla statistica integrata delle aziende agricole, che ne disciplina l’attuazione in tutti gli stati dell’Unione Europea.
La guerra in Ucraina, in corso da parecchi mesi, sta vanificato ogni possibile previsione: l’inasprimento degli aumenti di prezzo delle materie prime energetiche e le nuove difficoltà di approvvigionamento delle imprese, oltre alle preesistenti strozzature di approvvigionamento, potrebbero avere conseguenze a lungo termine per l’agricoltura italiana e di rimando per i prodotti confezionati da materie prime.
L’indagine censuaria effettuata ha fornito una lettura dettagliata della struttura del sistema agricolo e zootecnico italiano a livello nazionale, regionale e locale, sia dal punto di vista tematico (caratteristiche del conduttore, uso del suolo, dimensioni degli allevamenti, modalità di gestione dell’azienda e loro eventuale multifunzionalità, la tipologia del lavoro dipendente, della commercializzazione), che in base alla localizzazione geografica delle diverse attività produttive, elemento chiave per comprendere le dinamiche di possibili sviluppi futuri. L’indagine ISTAT si è basata prevalentemente su informazioni provenienti da un congruo numero di aziende agricole, la proprietà dei terreni e il suo utilizzo, il numero di capi di bestiame, la forza lavoro impiegata e le attività svolte parallelamente alla produzione agricola, che producono aziende agricole, non solo beni, ma anche fornitori di servizi.
Il recupero dell’export italiano passa dai beni. In una fase di ripresa dell’economia e del commercio internazionale, anche il valore delle esportazioni italiane di beni è stato in recupero nel 2021 (+11,3%), più che compensando quanto “perso” nel 2020 (-9,1%). Debole invece la ripresa per l’export di servizi (+5,1%). Il recupero dell’export di beni, migliore rispetto a quanto previsto per i nostri principali peer europei (come confermato anche dagli ultimi dati disponibili sul 2021; +20,1% nei primi nove mesi), consentirà all’Italia di mantenere invariata la propria quota di mercato mondiale. Guidano la ripresa i beni di investimento, sulla spinta di apparecchi elettrici e meccanica strumentale, e i beni intermedi, specie metalli e gomma e plastica. Per i beni di consumo occorrerà più tempo per il recupero. Si confermerà ancora positiva la performance dell’agroalimentare grazie anche alla ripartenza del canale legato all’ospitalità.
L’agroalimentare dunque è il raggruppamento che ha risentito meno della crisi pandemica non essendo stato colpito da particolari restrizioni o fermi produttivi. Gli effetti dello stop forzato alle attività ricettive e ricreative della filiera Ho.Re.Ca. sono stati contenuti, almeno in parte, dall’incremento della spesa per i consumi domestici nonché dal maggiore utilizzo di soluzioni di food delivery. Nel 2021 le vendite oltreconfine di agroalimentare sono state in crescita dell’11% (+11,7% nei primi otto mesi dell’anno) e si prevede del 4,4% all’anno, in media, tra 2022 e 2024. Mentre nel 2020 sono stati trainanti per l’export alcuni prodotti particolarmente legati al consumo a casa, come pasta, conserve di pomodoro e olio d’oliva, il ritorno del canale Ho.Re.Ca. (Hotellerie–Restaurant–Café) nel 2021 ha fatto crescere i comparti più legati al consumo fuori casa.[1]
L’Italian Sounding – ovvero la produzione e commercializzazione di prodotti non Made in Italy tramite l’utilizzo di nomi e packaging che richiamano l’italianità – è un fenomeno ampiamente diffuso soprattutto nel settore agroalimentare. L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) solo nel 2018 ha stimato a 32 miliardi il valore dei prodotti italiani contraffatti scambiati a livello mondiale. Attualmente, secondo Coldiretti, il mercato dell’Italian Sounding nel mondo vale circa 100 miliardi di euro, più di due prodotti agroalimentari su tre venduti come italiani sarebbero infatti falsi. I prodotti maggiormente soggetti al fenomeno sono i formaggi, in particolare Mozzarella e Parmigiano Reggiano, ma anche salumi, quali Salame e Mortadella, sughi, passate e vini.
Nel mercato europeo vigono alcune regole atte a limitare il fenomeno. Ad esempio il Regolamento Ue 1169/2011 prevede che l’indicazione di origine di un prodotto debba essere riportata in etichetta. Gli accordi commerciali tra UE e Paesi partner comprendono sempre più frequentemente il riconoscimento di Indicazioni Geografiche. Il CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement, – Accordo Economico e Commerciale Globale), ad esempio, prevede il riconoscimento di oltre 40 denominazioni italiane, che rappresentano più del 95% dell’export agroalimentare Made in Italy verso il Canada. Anche l’accordo di libero scambio tra UE-Vietnam protegge 169 IG dell’Unione europea, 38 delle quali italiane. Da anni, attori quali Agenzia delle Dogane, ICE e Federalimentare sono impegnati in campagne di sensibilizzazione contro il fenomeno e promozione strategica nei mercati più rilevanti per il Made in Italy.[2]
Ma vediamo di chiarire cosa si cela sotto la terminologia Italian Sounding. Coniata in termini giornalistici giocando sul concetto che tali prodotti hanno dei nomi e degli aggettivi che “suonano come italiani” – “sounds like Italian”, come già riportato, con essa si intende il processo di diffusione di prodotti che presentano nomi, loghi, colori o slogan riconducibili all’Italia ma che di fatto non hanno nulla a che vedere con l’autenticità dei prodotti “Made in Italy”.
Gli Italian Sounding sono per lo più prodotti realizzati da aziende che acquistano materie prime di provenienza estera a un costo inferiore e che poi lavorano in Italia, oppure, da aziende italiane rilevate da aziende straniere che sfruttano la nomea legata ad esse per promuovere maggiormente le vendite. L’obiettivo dei prodotti Italian Sounding è quello di richiamare l’attenzione del consumatore su un prodotto che evochi la qualità e l’appeal del prodotto italiano attraverso l’utilizzo di parole italiane o altri richiami più espliciti al nostro paese. Spesso nelle parti descrittive di questi prodotti agro-alimentari, si notano aggettivi con connotazioni geografiche che rimandano a noti luoghi italiani, accompagnate da espressioni quali “genere”, “del tipo”, “stile”, “imitazione di”, “secondo la tradizione”, “secondo la ricetta tipica” e similari.
Oltre al Parmigiano Reggiano e Mozzarella tra i prodotti italiani più imitati e contraffatti all’estero, vi sono anche i dolci tradizionali italiani, soprattutto quelli natalizi e il fenomeno cresce con l’aumento dell’export soprattutto negli USA. In lingua inglese i termini utilizzati all’estero per descrivere il fenomeno sono; food imitation, food counterfeiting, falsification of a brand, Protected Geographical Indication (PGI) or Protected Designation of Origin (PDO).
Uno dei fake più diffusi è la celeberrima “Alfredo Sauce”, la salsa Alfredo, un condimento bianco riadattato fatto con burro, formaggio tipo Philadeplia, aglio, spezie e parmesan grattugiato che gli americani sono pronti a giurare sia 100% italiana. In realtà questo sugo nasce dal tentativo di riprodurre le famose fettuccine all’Alfredo che due divi americani avevano assaggiato a Roma da Alfredo alla Scrofa.
Oltre ai dolci, formaggi, salumi, conserve, gli extravergine di oliva, l’effetto Italian Sounding ha anche invaso, come già detto il mondo dei vini e dei liquori: dal Bordolino argentino nella versione bianco e rosso con tanto di bandiera tricolore al Kressecco tedesco, oltre al Barbera bianco prodotto in Romania e al Chianti fatto in California, il Marsala sudamericano e quello statunitense sono alcuni esempi delle contraffazioni e imitazioni dei nostri vini e liquori più prestigiosi.
Per non andare molto lontano ricordiamo anche “The last but not the least” i wine kit che arrivano da Canada e Regno Unito e trovabili nelle più importanti piattaforme W-commerce (Amazon, eBay o Alibaba) per prodursi il finto Brunello o il finto Chianti.
Le statistiche affermano che milioni di persone ogni giorno comprano, mangiano e cucinano italiano nel mondo, ma solo il 40% dei cibi è autentico, il resto è Italian Sounding. Ciò che immediatamente balza nella nostra mente è: poiché il 60% dei prodotti e dei piatti all’estero è Italian Sounding o contraffazione “come può un consumatore riconoscere un vero Made in Italy?”
Il segreto sta sempre nell’attenta lettura dell’etichetta. Riconoscere se il prodotto è autentico Made in Italy è semplicissimo grazie alla funzione scansione del codice a barre presente sulla confezione e l’utilizzo di App gratuite per smartphone, sia per sistemi operativi IOS che Android, che dirà immediatamente se il prodotto sia o meno “originale”. Con la lettura digitale, del prodotto si potranno conoscere tutte le informazioni sul produttore, sul territorio, sulle denominazioni di origine, trovare dove comprare il prodotto, sia direttamente on-line oppure se disponibile nel negozio più vicino al posto della nostra geo localizzazione.
Tanti, forse troppi, tra imprenditori, associazioni di categoria e istituzioni, non sono abituati a pensare all’Italian Sounding per alcune categorie merceologiche come ad esempio quelle dei dolci natalizi ed in particolare del famoso “Panettone” che invece è tra quelle più imitate. Il dilemma delle vendite di prodotti non autentici sta nell’incapacità del nostro sistema imprenditoriale di fare fronte comune, non solo di filiera (che già sarebbe un grande passo avanti) ma di comparto. Ultimamente la tendenza, per bloccare questo problema dilagante, è quella di scendere in campo affianco agli imprenditori, alle associazioni di categoria e ai consorzi anche le associazioni a tutela del consumatore, Coldiretti, Confartigianato, Federalimentare, Unionalimentari Confapi, solo per citarne alcune, con lo scopo di preservare un patrimonio economico e di tradizione culturale che va costantemente difeso e valorizzato.
Ma perché l’Italia non riesce ad essere competitiva nell’export agroalimentare dato che le produzioni italiane sono tra le più imitate e contraffatte al mondo e il sistema agroalimentare tiene il mercato meglio di altre nazioni? Innanzitutto c’è un problema strutturale: le aziende sono piccole e frammentate e non fanno sistema tra di loro, approccio fondamentale per competere sul mercato globale e, poi, sono poco market oriented. Inoltre, la richiesta di Made in Italy è troppo alta rispetto alla disponibilità di prodotti sugli scaffali dei wall e dei negozi.
Varie sono e sono state le iniziative e le strategie per il rilancio dei prodotti originali e per invertire questa tendenza attraverso una campagna culturale che è mancata fino ad oggi. Proprio dall’analisi delle cause vengono fuori i possibili rimedi, per cercare di recuperare almeno una parte delle quote di mercato “sottratte” al nostro agroalimentare, sicuramente quelle che fanno riferimento a una scelta non consapevole dei consumatori; primo fra tutti occorre far conoscere e valorizzare con maggiore efficacia il marchio Made in Italy attraverso il coinvolgimento delle comunità di italiani all’estero, che tra l’altro sono in testa tra gli acquirenti dei prodotti italiani, ma anche tra quelli Italian Sounding, alla promozione delle etichette impossibili da imitare, creare sinergie con il turismo attraverso pacchetti che abbinano i percorsi artistici a quelli gastronomici, maggiori barriere doganali come Cina e Brasile e molto altro ancora.
A riprova della sempre maggiore attenzione al contrasto dell’Italian Sounding, proprio negli Stati Uniti, Coldiretti, ICE e Filiera Italia hanno allestito durante la “Fiera Fancy Food 2022” una mostra che mette a confronto gli “originali” con gli “imitatori”.
Ma già una prima risposta al problema è arrivata nel 2014, da Fancy Food Show 2014, evento agroalimentare dedicato al mondo del cibo svoltosi a New York a cui hanno partecipato turisti, buyer e operatori del settore provenienti da ogni parte del mondo con oltre 2600 espositori, di cui 350 aziende italiane.
Ma la locuzione “Italian Sounding” ha iniziato ad avere una certa diffusione mediatica durante le battute finali di Expo 2015, quando Federalimentare, nell’ambito di un dibattito tenutosi al padiglione “Cibus è Italia” in merito al problema delle contraffazioni e dell’Italian Sounding, ha chiesto al Governo italiano la costituzione di un “Osservatorio permanente sull’Italian Sounding”. Ma anche con la famigerata “Settimana della cucina italiana nel mondo”, Chef, gastronomi, sommelier ma anche imprenditori si impegnano con costanza a promuovere i prodotti Italiani veri.
Attenzione! È da evidenziare che i prodotti contraffatti violano marchi registrati o altri segni distintivi tutelati per legge come, ad esempio, le denominazioni di origine (DOC, DOP, DOCG, IGP, IGT, STG), perciò la contraffazione è perseguibile legalmente. Invece i prodotti Italian Sounding non possono essere classificati come illeciti dal punto di vista strettamente giuridico, ma rappresentano comunque un danno ingente per l’economia italiana e per le potenziali esportazioni del Made in Italy. L’Italian Sounding è all’origine di un giro di affari mondiale di circa 55 miliardi di euro.[3]
Nel 2017, ad esempio, è stato divulgato un cortometraggio realizzato dall’Agenzia ICE nell’ambito delle iniziative del Piano Straordinario per il Made in Italy del MISE (MInistero dello Sviluppo Economico) dal titolo il “Quinto Elemento” con l’obiettivo di promuovere le eccellenze del settore agroalimentare italiano nel mondo. Il titolo evoca la capacità tutta italiana di trasformare le materie prime, frutto dei quattro elementi naturali, in prodotti straordinari. Questa capacità è il nostro straordinario quinto elemento, fatto di tradizione, unicità del territorio, processi tecnologici e attenzione alla qualità, che rendono i nostri prodotti straordinari e il nostro Paese quello con il più alto numero di prodotti certificati e tra i più “sani” al mondo.
Nel 2019 in occasione della fiera di Anuga, Federalimentare ha promosso l’iniziativa Authentic Italian check-point, un desk dedicato a fornire informazioni sul fenomeno dell’Italian Sounding e raccogliere le eventuali segnalazioni da parte degli operatori del settore presenti alla fiera, sensibilizzando l’intera filiera e gli stakeholder interessati sul fenomeno.
Ma qual è il ruolo dell’Agenzia ICE? Essa ha origine dall’ Istituto Nazionale per le Esportazioni (INE) creato nel 1926, con il regio decreto n. 800, che aveva, sin da allora, scopo prioritario la promozione dello sviluppo delle esportazioni dei prodotti del suolo e dell’industria italiana (1926 – 1935). Negli anni è stato oggetto di varie denominazioni quali Istituto nazionale per gli scambi con l’estero (1935 – 1945) e successivamente Istituto nazionale per il commercio estero, ICE, fino al 2011 anno della sua soppressione e nascita dell’ICE-Agenzia. Istituita con D.L. n.98 del 06.07.11, (art.14) convertito con modificazioni, come ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposto ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero dello sviluppo economico che li esercita, per le materie di rispettiva competenza, d’intesa con il Ministero degli affari esteri e sentito il Ministero dell’economia e delle finanze ha il compito di agevolare, sviluppare e promuovere i rapporti economici e commerciali italiani con l’estero con particolare attenzione alle esigenze delle piccole e medie imprese, dei loro consorzi e raggruppamenti e opera al fine di sviluppare l’internazionalizzazione delle imprese italiane nonché la commercializzazione dei beni e servizi italiani nei mercati internazionali. In sintesi si occupa della promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane svolgendo attività di informazione, assistenza, promozione a imprese e istituzioni, di formazione a imprese e a giovani laureati, promuovendo la cooperazione nei settori industriale, agricolo e agro-alimentare, della distribuzione e del terziario.
Da quanto emerge dall’analisi della Coldiretti in relazione all’azione di contrasto svolta dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) sull’aumento del rischio che falsi prodotti Made in Italy, il valore dei falsi nel mondo sottraendo risorse e opportunità di lavoro all’Italia arrivino sule tavole dei consumatori internazionali a causa della crisi economica scatenata alla pandemia con un mercato del cibo tarocco si aggira a oltre 100 miliardi di euro, un brutto colpo in questi momenti di difficoltà delle aziende italiane che a causa emergenza COVID ha già raggiunto valori preoccupanti.
Quando si pensa alle contraffazioni in genere si pensa a Paesi come la Cina e in parte anche agli Stati Uniti e al Canada ma il problema è molto più esteso e coinvolge Paesi dell’America Latina, Russia, Paesi del Sud Est Asiatico e pesantemente anche Stati a noi vicini come la Francia, la Germania, il Regno Unito.
Purtroppo c’è da dire che negli ultimi decenni le azioni di promozione e supporto all’internazionalizzazione sostenute dall’ICE e dalle Camere di Commercio italiane all’estero con la partecipazione a fiere ed eventi, non sono state accompagnate da un progetto di comunicazione adeguato, ma si sono limitate e creare opportunità di business per le imprese. Il falso Made in Italy e le ripercussioni negative dell’Italian Sounding è diventato un meccanismo politico-economico mondiale. Chi perde maggiormente in questo meccanismo sono da un lato i produttori locali, costretti ad abbassare qualità e prezzi, impoverendosi; dall’altro lato, ovviamente, i consumatori, a cui arrivano prodotti sempre più di bassa qualità.
In sintesi l’Italian Sounding costituisce una delle principali cause della ridotta incidenza dell’export italiano sul fatturato (poco meno del 20% per l’Italia, contro una media europea del 22% e contro il 26% di Francia e il 28% di Germania), perché consente ad alcune aziende locali di avere un vantaggio competitivo che non meritano, producendo a prezzi più bassi ma collocando il prodotto su fasce superiori di prezzo grazie al richiamo all’italianità.
Sul piano delle esigenze del consumatore, al primo posto c’è la sicurezza, seguita da salute e benessere. Se però anche dietro i marchi più noti della produzione nazionale, percepiti come garanzia di qualità elevata e di sicurezza alimentare, si celano alimenti di origine ormai interamente straniera e talvolta anche “scadenti”, il consumatore non può non sentirsi tradito, quando non ingannato, pur in assenza di reato. Per dirla in breve, tra il “Best” e il “Fake” sembra vincere quest’ultimo, stando almeno ai numeri. Ma il mercato, si sa, non è fatto solo di relazioni commerciali!
Prof.ssa G.F. Rappazzo
Università degli Studi di Messina
[1] Fonte: Elaborazioni SACE su dati Eurostat e Istat
[2] Fonte: Coldiretti, Commissione europea, Confindustria, Fondazione Qualivita, ICE, Sole24Ore
[3] Fonti: Rapporto IPERICO sulla Lotta alla Contraffazione in Italia nel Settore Agroalimentare 2009-2012
Redazione ANSA, Cibus è Italia, i progetti per il dopo Italian Sounding: giro di affari da 55 miliardi, suunionalimentari.com. URL consultato il 17 dicembre 2022